Nella nostra chiesa la corale c’è da tantissimo tempo. C’era quando io ero bambino, ho ancora nella memoria qualche eco, soprattutto i suoni dell’organo che allora era affidato alla mano sapiente del maestro Cambieri.
Del canto nella nostra chiesa conservo ricordi contraddittori. Alcuni affiorano dolcissimi; altri no (intendo lo stile, sempre salva l’ottima intenzione degli attori).
Ed è così che, in età matura, dopo un contributo ventennale alla animazione del canto di gruppo in chiesa, ho sentito forte il bisogno di una risposta più decisa alla domanda di bellezza che viene dal cuore quando alla voce è demandato il compito di “cantare con arte” le lodi del Signore.
Ho così approfondito più seriamente lo studio della musica, dell’armonia, della direzione di coro e, dagli anni novanta, ho incominciato ad occuparmi della corale nella sua veste attuale.
La corale non canta molto, sette-otto grappoli di interventi all’anno, nelle solennità. Una ventina di esecuzioni in tutto.
Questa prospettiva le consente di osare una preparazione non limitata alla sola “musica d’uso” mediamente ricorrente, aprendosi alla sfida di dar risposta non solo al problema dell'”adatto” bensì anche del “degno”, e così provare a rendere maggiormente percepibile quella “città della gloria” che la Chiesa è quando celebra il suo Signore.
La fatica è molta. Le parti vanno imparate con precisione e pochissimi conoscono qualcosa di teoria musicale. Pertanto si va per imitazione e continuo affinamento. Io esigo molto dai miei amici coristi, in vista della soddisfazione – quando se ne ha la grazia – di aver saputo rendere al meglio lo splendore di un bel canto.
Le prove sono settimanali, al mercoledì sera (dalle nove alle undici). E vi assicuro che non bastano mai.
Se avete gusto per la bella musica e una buona intonazione, se pensate che il Signore vi abbia reso possibile esprimere così il vostro amore per lui e renderne partecipi gli altri, perché non provare? Se non vi fossero i requisiti, non ve lo nasconderemo.